Per arrivare

Guia Cortassa
10 min readJan 14, 2020

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Questo racconto è uscito sul quinto numero di Rivista Letteraria nella primavera del 2018.

Piazza Dante, su cui si affaccia la stazione di Nizza Monferrato, è al sole. All’interno, nello spazio unico della biglietteria e della sala d’aspetto, si sente solo il ronzio delle macchinette automatiche. Gli sportelli sono chiusi, i binari deserti. Un venditore ambulante è seduto su una sedia, con vicino il suo zaino e un sacco nero. È lui che mi riapre la porta, bloccata dall’esterno, quando esco sulla banchina per obliterare i due cartoncini freschi di stampa che ho appena acquistato. Tornando fuori dalla stazione, dall’altra parte della piccola piazza, antistante al vecchio edificio giallino, il pronao della costruzione neoclassica che ospita una delle tante aziende vinicole della zona offre un po’ di ombra a un ragazzo in attesa. Ci dirigiamo nella stesso posto, per scampare a Lucifero, che sta surriscaldando questa estate. Poco dopo, anche il venditore ambulante ci raggiunge. Sono le 16.50 del 7 agosto, e, per permettere “importanti interventi di manutenzione straordinaria alle linee”, come recita la nota ufficiale di RFI, il treno regionale 10092, che solitamente copre in 35 minuti i 26 chilometri da percorrere, è sostituito dal bus TO028, con partenza alle 17.02 e un tragitto di 42 minuti sulla SP 456 del Turchino. Io e mio padre stiamo per andare ad Asti in corriera.

Una teoria sociologica del tutto non riconosciuta — e irreperibile persino nei meandri più reconditi del web: dove l’avrò letta? Sarà una reminiscenza di studio del liceo? O forse più avanti, all’Università, per l’esame di Storia Sociale dei Media? — prende a esempio lo scompartimento di un treno per spiegare come, all’arrivare di un nuovo individuo, i componenti già presenti in una comunità trovino unità nel considerarlo come elemento di disturbo. A ogni nuovo ingresso nello scompartimento, infatti, i passeggeri già seduti si sentiranno ugualmente infastiditi e costretti loro malgrado a trovare un nuovo equilibrio. Anche colui che si è trovato a essere l’elemento intruso al suo ingresso in carrozza sarà parte del gruppo, quando il passeggero seguente aprirà la porta del vagone.

Il primo pullman che arriva, qualche minuto prima dell’orario previsto, è quello che percorre la tratta in direzione opposta, con capolinea ad Acqui Terme. Ci avviciniamo, per poi tornare sotto il portico all’ombra una volta vista la destinazione. Il ragazzo seduto ci domanda se stiamo aspettando anche noi “quello per Asti”, poi chiede a me informazioni sugli orari. Ma l’essere forestiera non mi rende la persona giusta e, al mio non sapergli rispondere, ricomincia ad aggiornare Twitter e Instagram sul suo iPhone: lo vedo, essendo in piedi dietro di lui. Dalla mia posizione cerco, invano, di capire se abbiamo gusti simili, qualche follower in comune, qualche grado di connessione, seppur lontano. Quasi subito arriva un altro uomo: magro, pantaloni kaki, camicia di lino verde militare aperta un bottone oltre al limite consentito, occhiali da sole fuori moda. Ha i capelli raccolti in una coda e una borsa nera di stoffa su cui mi sembra di leggere “Neri Pozza”. In effetti, potrebbe essere uno scrittore, o forse un fotografo, se giudicare dall’apparenza fosse accettabile. In piedi, vicino a noi, anche lui attende.

C’è chi dice di avere ricordi di mille anni fa
E chi dice di aver già visitato i mille anni del futuro
In una giornata ventosa
Io aspetto l’autobus

(Ko Un, in “Fiori d’un istante”, a cura di V. D’Urso, Venezia, Libreria Editrice Cafoscarina, 2005)

Dopo i primi minuti di ritardo, tutti i viaggiatori in attesa cominciano ad agitarsi, rumoreggiare, cercare qualche silenziosa conferma tra gli astanti di non essere nel posto sbagliato. Nessuno si muove, se non per percorrere i pochi metri che separano l’ombra dal piccolo bar della stazione, aperto verso l’esterno, e le sue bottigliette d’acqua refrigerate da un euro. L’unico a rimanere fermo, seduto in un angolo sul suo sacco nero noncurante del sole, è l’ambulante, che nel frattempo è uscito dalla sala vuota per avvicinarsi al nostro gruppo. Dall’altoparlante del suo telefono esce della musica, appena percepibile per il volume basso. Il suo sguardo è fisso in un punto indefinibile verso il fondo cieco del piazzale, con alle spalle l’unico punto di accesso allo slargo, quello da cui, come un miraggio, spunta finalmente il bianco torpedone oggetto del nostro desiderio.

Nei pochi secondi che ci servono per riattraversare Piazza Dante e arrivare alle porte del pullman, le persone in coda per salire si moltiplicano. Non c’è soltanto il nostro esiguo assembramento di rifugiati all’ombra a imbarcarsi sull’automezzo, ma altra gente che sembra comparsa dal nulla, invisibile fino a quel momento, nascosta in qualche angolo al riparo che sfuggiva alla nostra — alla mia — vista. Quello che avevo immaginato affollato come uno di quei Greyhound in partenza da qualche periferia americana, e poi trovato in realtà atteso solo da qualche sparuto individuo, mi sembra di nuovo destinato a essere riempito a dismisura dai presenti, salvo poi accorgermi dei pochi posti occupati, una volta che tutti i passeggeri fossero saliti a bordo.

Nel 1827 fu inventato in Inghilterra l’autobus a vapore. Il primo traffico di linea a motore fu inaugurato il 18 marzo 1895 tra Siegen e Netphen e veniva gestito dalla Netphener Omnibusgesellschaft. Per l’esercizio della linea venne impiegato un veicolo dal nome Landauer, che effettivamente aveva più somiglianze con la carrozza omonima che con un autobus moderno. Questo primo autobus del mondo veniva costruito a mano a partire dal 1895, quindi perfino un anno prima dei primi autocarri, nell’azienda a conduzione familiare del pioniere dell’automobile Karl Benz e disponeva anche di otto posti a sedere e di un motore da 5 cavalli. La sua velocità media era di 15 km/h, tanto da poter percorrere il tratto di strada tra Siegen e Netphen in 1 ora e 20 minuti. Il viaggio costava la cifra, per i parametri di allora esosa, di 70 pfennig. Per la ridotta maneggiabilità dei primi autobus Benz l’esercizio degli autobus nel territorio di Siegen era stato, tuttavia, nuovamente interrotto prima della fine dell’anno. Nonostante questo colpo sorsero negli anni successivi in tutto il mondo collegamenti di linea sempre più nuovi grazie al continuo miglioramento delle tecniche dei veicoli; ad esempio nel Regno Unito la prima linea è del 1898, in Italia venne invece attivata nel 1903, per collegare Garessio a Ventimiglia.

[https://it.wikipedia.org/wiki/Autobus]

La fermata di Agliano è l’unica distante dalla stazione ferroviaria. Lo spiega attentamente l’autista a un passeggero che sembra essersi materializzato all’improvviso, con la sua polo grigia e la borsa del computer a tracolla. Chiede informazioni sulla posizione esatta del punto di discesa, sul perché sia lì, e se sia difficile trovarlo per chi non conosce la zona. L’uomo al volante indossa una camicia a maniche corte giallo chiaro e degli occhiali rettangolari dalla montatura sottile, e risponde a ogni domanda, dall’alto di uno zelo piemontese che esaspera il luogo comune, rendendo riduttivo persino l’impietoso paragone al Marcovaldo calviniano. Così, impariamo che il luogo di arresto è stato scelto per evitare che il pullman debba fare manovre che potrebbero rallentare il percorso, che è presente un cartello a segnalare il punto esatto e che dovrebbero esserci indicazioni anche all’interno della stazione stessa.

Le porte del mezzo si aprono proprio davanti alla palina con il logo di Trenitalia all’ingresso del paese. Ci sono diverse persone che attendono di salire, molte più di quanto ci si potrebbe aspettare da un torrido pomeriggio infrasettimanale di agosto. Una ragazza con lo zaino e gli auricolari si siede proprio dietro il guidatore; una signora bionda di mezza età, invece, occupa con un’amica la prima fila che si è appena svuotata; visi e braccia sfilano di fianco al mio posto sul corridoio. Di scatto, l’uomo con la polo grigia e la borsa nera si alza e scende, come svegliatosi improvvisamente da un lungo torpore — una mossa improvvisa, in netto contrasto con la lunga conversazione appena avuta con il conducente.

Automedónte s. m. [per antonomasia (secondo l’esempio del fr. automédon), dal nome di Automedonte, gr. Αὐτομέδων, lat. Automĕdon, mitico auriga di Achille], scherz., non com. — Cocchiere; autista.

[http://www.treccani.it/vocabolario/automedonte]

Montegrosso è deserta e il bus prosegue la corsa senza fermarsi fino a Vigliano per poi proseguire ulteriormente.

Sui due sedili di fianco al mio, il tizio con i capelli raccolti e la tote-bag apparentemente letteraria dorme, appoggiato al finestrino su cui, all’inizio del viaggio, ha tirato la tenda di stoffa color mattone, impedendo la vista all’esterno.

Qualche fila più indietro, un gruppo di uomini commenta a voce molto alta tutte le abitazioni che incontriamo, di cui conoscono dimensioni, terreni, proprietari e storia.

Davanti a me, un ragazzo alto e grosso estrae dalla tasca un vecchio cellulare a conchiglia, fa scattare la parte superiore e fissa lo schermo interno.

L’arrivo a Mongardino desta l’attenzione dell’autista, che inizia a conversare con la signora bionda della prima fila.

«Coj ‘d Mongardin diso che l’asinel a fa ‘l vin.»

(proverbio paesano)

Con i suoi 292 metri di altitudine, Mongardino è l’unico paese del nostro itinerario ad avere la fermata in collina. Un dato che impressiona particolarmente il guidatore del pullman che, chiacchierando con la passeggera a lui più prossima, dichiara di ripromettersi di scoprire come facciano i treni ad arrivare fin su in paese [per chi se lo chiedesse a sua volta, il treno non sale. La stazione è, come tutte le altre, all’altezza della strada provinciale, e i binari rimangono allo stesso livello sul mare di tutto il resto del viaggio].

La fatica immane che la corriera impiega per affrontare la salita risveglia anche lo spirito del gruppo di uomini sui sedili posteriori, che rumorosamente comincia a incitare il mezzo, trasformando l’arrancare del motore sul proclivio in una tappa dolomitica, domata dall’autista come un novello Pantani. Falsa modestia o esprit de corps, da dietro il volante l’uomo minimizza il suo sforzo, dichiarando però di alzare il cappello davanti ai suoi colleghi che lavorano in montagna, tra le curve e la neve, spostando i loro mastodontici mezzi in condizioni estreme senza paura e con sollecitudine.

La signora bionda, rapita dall’ardore del conducente, ribatte raccontando della sua esperienza da passeggera sulla costiera amalfitana, sulle strette strade scoscese sul mare, sperando di far breccia nel cuore dell’eroe del torpedone. Ma lui non cede, e si lancia nell’autobiografismo, evocando villeggiature a 3800 metri in località in cui si può sia sciare, sia scalare, raccomandando la stessa esperienza alla donna in ascolto, ormai vinta dalla fascinazione.

Siamo giunti nel centro del paese, pronti a invertire la pendenza per aggredire la discesa, fatta di tornanti che si snodano sulla collina, più tortuosi del dolce curvilineo che conduce alla sommità del comune.

“Nuovo codice della strada”, decreto legisl. 30 aprile 1992 n. 285 e successive modificazioni.

TITOLO V — NORME DI COMPORTAMENTO

Art. 150. Incrocio tra veicoli nei passaggi ingombrati o su strade di montagna.

2. Sulle strade di montagna o comunque a forte pendenza, se l’incrocio con altri veicoli è malagevole o impossibile, il conducente che procede in discesa deve arrestarsi e accostarsi quanto più possibile al margine destro della carreggiata o spostarsi sulla piazzola, ove esista. Tuttavia, se il conducente che procede in salita dispone di una piazzola deve arrestarsi su di essa, se la strada è tanto stretta da rendere altrimenti necessaria la manovra di retromarcia.

Ma la gloria, si sa, è effimera e caduca. Ed è proprio mentre il pullman si accinge ad uscire dal centro abitato che, dopo la prima curva, sbuca da una delle vigne che ricoprono i crinali delle colline del Monferrato, patrimonio dell’Unesco dal 2014, un trattore, che, implacabile, occupa la carreggiata proprio davanti al nostro veicolo, procedendo a velocità minima. È un attimo, e il gran premio della montagna si trasforma in un inseguimento di pachidermi, goffi e appesantiti sui gomiti di asfalto troppo stretti. Un attimo, e dal fondo le urla di incitamento lasciano il posto a espressioni di disappunto e richieste vane di lasciare strada, le ü e le ö strette del dialetto piemontese a scandire tutto il rincrescimento: “Sü, bùgia! Bùgia un pö!”, “Gauti da ‘nt el bali!”. Un colpo di clacson riecheggia tra i tornanti, la tensione si acuisce. Solo pochi metri sfilano sotto di noi finché, in un punto in cui la banchina è più larga, il mezzo agricolo si accosta sulla destra, lasciandoci passare. Sono grida e ovazioni, che partono sempre dallo stesso gruppo di uomini, ma che velocemente si diffondono tra tutti i passeggeri, che applaudono durante il sorpasso, complimentando la gentilezza del vignaiolo e l’intraprendenza dell’autista. Il petto gonfio e un sorriso compiaciuto, sebbene leggermente provato dall’esperienza appena vissuta, il guidatore riprende la conversazione. “Una volta ho trovato un contadino che fino ad Acqui non mi ha fatto passare. Faceva i 20 all’ora. Gli ho fatto la faccia brutta, però”, racconta, impettito.

“…ed Asti
repubblicana.
Fiera di strage gotica e de l’ira
di Federico, dal sonante fiume
ella, o Piemonte, ti donava il carme
novo d’Alfieri.”

Giosuè Carducci, “Piemonte”, in “Rime e ritmi” (1898)

Siamo ormai di nuovo sulla strada provinciale; l’imbocco di Corso Savona, che porta nel centro di Asti, è già visibile dal finestrino. Nonostante il sole sia ancora alto, un silenzio stanco si è impossessato dei viaggiatori, seduti nel microcosmo della corriera da quasi quaranta minuti.

Appena saliamo sul tratto del corso che supera il fiume Tanaro, la stazione si apre sotto di noi. Una macchina grigia aspetta nel piazzale; mio padre, seduto accanto a me vicino al vetro, agita la mano in segno di saluto, ottenendo in risposta il lampeggiare veloce degli abbaglianti della station wagon ferma. Il rumore delle borse e degli zaini che vengono richiusi e indossati è l’unica cosa che si muove.

Arrivati a destinazione, l’autista apre le porte anteriori del mezzo. Cominciamo a sbarcare, mentre gli uomini dei sedili posteriori chiedono l’apertura dell’uscita a loro vicina, senza ottenere risposta. Nessuno protesta, e la fila di persone nel corridoio si allunga. A uno a uno, marciamo accanto al guidatore, salutando e ringraziando per il viaggio, prima di scendere i tre gradini che ci separano dal marciapiede. A terra, ognuno prende una direzione diversa; anche il gruppo si scioglie, facendo risuonare una nuvola di “ciao, compare” tra le ombre del tardo pomeriggio. Senza dire niente, saliamo sull’auto che ci sta aspettando.

Il conducente è ancora al suo posto, lo vedo da questo nuovo finestrino, già pronto per un altro viaggio.

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Guia Cortassa

Milan-based editor and translator for several international publishers, and writer for international magazines focusing on art, music, and literature. ko-fi.com